Nel lontano 5 luglio 2012 un decreto del MISE (V Conto energia) consentiva a coloro che avevano investito in impianti fotovoltaici di usufruire della detassazione ambientale (art. 6 della L. 388/2000).
Tale agevolazione, denominata anche “Tremonti Ambiente”, consentiva di portare in deduzione fiscale un importo calcolato in base alla metodologia dell’Approccio incrementale” (ispirato alla disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato per la tutela Ambientale) fino al massimo del 20% dell’investimento sostenuto.
Dato che la detassazione nel frattempo era stata abrogata dall’art. 23 del DL 83/2012, molte imprese si sono affrettate a presentare dichiarazioni e bilanci integrativi per poterne usufruire.
Al tempo, tuttavia, affioravano le prime perplessità sulla cumulabilità di questo incentivo con la tariffa incentivante degli impianti fotovoltaici, anche se Assonime, nel suo approfondimento n. 8 del 2011 si era pronunciata per la cumulabilità.
A distanza di ben cinque anni, in cui le imprese con redditi positivi sono riuscite ad ottenere subito il vantaggio fiscale della detassazione ambientale da una parte e l’incentivo della tariffaincentivante dall’altra, il GSE emana un comunicato stampa il 22/11/2017 in base al quale la tariffa incentivante del III, IV e V Conto Energia non è cumulabile con la detassazione ambientale.
Ovviamente ne sono scaturiti numerosi contenziosi con esiti per la stragrante maggioranza a favore dei contribuenti/investitori, tra le più famose le sentenze del TAR del Lazio nn. 6784 e 6785 del 29 maggio 2019.
La vicenda, tuttavia, ha toccato il suo culmine con l’emanazione dell’art. 36 del DL 124/2019, in cui il legislatore, sulla base del solo comunicato MISE, quindi sulla base di un documento che non ha natura legislativa, darebbe la possibilità alle imprese che hanno usufruito della detassazione ambientale e della tariffa del III, IV, V Conto Energia di “ravvedersi” versando l’equivalente in termini di tassazione fiscale della deduzione a suo tempo usufruita per non perdere la tariffa incentivante.
Ciò comporta le seguenti implicazioni:
– Le società che hanno già usufruito della deduzione, magari nel tempo in cui l’aliquota IRES era al 27,5% invece dell’odierno 24% sarebbero costrette a riversarla tutta creando uno scompenso non indifferente nell’equilibrio finanziario, rappresentando un fabbisogno non previsto e che di certo non emergeva nel 2012 nelle pianificazioni finanziarie di lungo periodo.
– Le società che non ne hanno usufruito in tutto o in parte, perché in fisiologica perdita fiscale, non solo non hanno monetizzato la detassazione ambientale, riportandola ancora oggi in avanti per mancanza di redditi da compensare, ma devono addirittura avere un ulteriore penalizzazione versando qualcosa che non è detto che recuperino in futuro.
Entrambe le situazioni potrebbero portare le società che hanno investito in impianti fotovoltaici e che avevano previsto finanziaramente gli incentivi (che il legislatore apparentemente consentiva cinque anni prima), di trovarsi in una situazione di crisi, con un debit service coveredge ratio che di punto in bianco diventa inferiore all’unità e con la necessità di doversi, nel prossimo futuro, rivolgere agli Organismi di composiazione della crisi di impresa.
Ciò che doveva incentivare alla fine si rivelerebbe un boomerang mortale!
Dal punto di vista giuridico tale norma ed i comunicati GSE, sarebbero incostituzionali (in violazione degli artt. 23, 53 e 97 della Costituzione), nonché non conformi con la Convenzione Europa sui diritti dell’uomo (artt. 1 e 6) alla quale siamo assoggettati per via dell’art. 117 della Costituzione ed, in ultimo, allo Statuto del Contribuente (art. 3, L. 21/2000).
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